La storia

Per quanto riguarda l'etimologia del nome "Balvano" sono due le ipotesi più accreditate. I IPOTESI - Il nome "Balvano" pare derivi da un "Fundus Balbiani" o "Praedium Balbanum", cioè il fondo rustico appartenente alla famiglia Balbia da cui, con l'aggiunta del prediale -anus, sarebbe derivato "Balbanus", che successivamente è diventato "Balvano". II IPOTESI - Secondo altri il nome Balvano deriverebbe proprio dalla sua posizione topografica: il suo etimo infatti sarebbe la parola latina "Balua", cioè "baluardo", "fortezza"... tant'è che lo stemma del paese è proprio una torre tra le rocce. Balvano non è di moderna fondazione, anzi... esistono elementi atti a provare l'esistenza di un monumento funerario di aspetto circolare che è da riferire ai primi decenni del primo secolo d.C., quindi già a quell'epoca, nei suddetti territori, si era insediata una piccola comunità. Questa tesi è inoltre confermata dalla scoperta di un'ulteriore lapide che attesta la presenza, in quel di Balvano, di una certa Giulia Celerina (vissuta intorno al I sec. d.C.) sacerdotessa imperiale dedita al culto degli imperatori divinizzati. Storicamente, tuttavia, il nucleo originario del paese, che si snoda intorno all'antico castello, è databile all'epoca longobarda. Balvano fu eletto a contea sotto i Normanni e nel XII sec. fece parte del Principato di Salerno. In questo secolo fu governato dalla nota e potente famiglia normanna dei Balbia (o Balbano). Sotto gli angioini questa terra fu posseduta da Metteo de Chevreuse, Giorgio di Alemania e Fortebraccio di Romagna. Fu suffeudo del conte di Buccino e poi di Caracciolo di Sicignano. In seguito il feudo fu venduto da Bernabò Caracciolo a Domenico Jovine, che fu ucciso nel 1647 dalla popolazione insorta contro di lui. Il castello è tuttavia appartenuto alla famiglia Jovine fino al '900. Proseguendo nel tempo si trova un altro episodio molto interessante che riguarda la storia di Balvano: l'arrivo, nel 1861, di Josè Borges e dei briganti. Dalle cronache dell'epoca si legge che Josè e la banda di briganti entrarono a Balvano la sera del 23 novembre 1861 ricevendo le migliori accoglienze da parte di tutta la popolazione che in coro urlava "Viva Francesco II e morte a Vittorio Emanuele!!" e sostituiva al tricolore la bandiera borbonica. La banda era composta di circa 700 uomini armati e di 100 uomini disarmati che portavano viveri per la truppa e il bottino fatto nelle scorrerie. La banda era capeggiatta da Crocco Donatello (il più famoso brigante lucano) e un certo De Langlois (che aveva militato presso le truppe del papa). Costoro, non appena in possesso del paese, inviarono due lettere al castello, dove si erano rinchiusi alcuni notabili del paese e il vescovo Laspro: questi spettabili signori si nascosero solo per provare la loro innocenza alle autorità se le cose fossero andate male, in realtà essi erano daccordo con i briganti. Nelle due lettere (una per il vescovo e una per il capitano della guardia nazionale, si chiedeva la consegna di tutte le armi esistenti nel castello e le chiavi delle abitazioni signorili, minacciando di far fucilare, in caso contrario, tutti coloro che erano rinchiusi nella fortezza. Intimoriti dalle minacce (o forse assecondando la commedia che si stava giocando per salvare le apparenze...) il capitano e addirittura il sindaco Raffaele Boezio eseguirono senza la più piccola resistenza gli ordini avuti. Il 24 novembre 1861 la banda lasciò Balvano, senza aver commesso gravi eccessi o misfatti, sempre festeggiata ed acclamata dalla popolazione che l'accompagnò per un buon tratto di strada.

Uomini e donne illustri

Frate Bernardino da Balvano Nacque verso la fine del 1400 e inizio del 1500 a Balvano, piccolo centro Lucano in provincia di Potenza. La sua famiglia portava il cognome Ferraris. Entrò dapprima nell'Ordine dei francescani Osservanti, dove ottenne una solida formazione biblico-teologica. Verso il 1533 passò alla Riforma Cappuccina nella provincia della Basilicata-Puglie. Fu Definitore, Guardiano e Ministro Provinciale. Quando, staccandosi dalle Puglie, si costituì la Provincia della Basilicata, ne fu il primo Ministro Provinciale. Eminente predicatore popolare soprattutto al sud, mentre predicava a Messina nel 1533, gli uditori, entusiasti della sua predicazione, ne richiesero la presenza per ben due anni. Le caratteristiche della sua predicazione erano: la semplicità nel proporre l'argomento, sviluppato con passi della Scrittura e dei Padri, soprattutto Agostino; il fraseggiare agile; il frequente uso di immagini, proposte con ardore e veemenza; la grande vena di ottimismo e speranza. Si ignora l'anno della sua morte.. è possibile consultare l'opera sul sito comunicare.it / Specchio D'Orazione Cristiano Proliano (astrologo) Nato a Balvano nella prima meta del 400, si trasferì a Napoli dove diventò precettore dei figli di Antonello Petrucci, Segretario di Ferdinado D'Aragona. Nel 1477 scrisse "Breve astrologiae compendium" col quale intese spigare ai suoi giovani discepoli la scienza astrologica. consultare l'allegato Tratto dal sito della Regione Basilicata Proliano.pdf Severina de Lilla Biografia e foto prelevati del sito dell'Istituto De Lilla di Bari Severina de Lilla nacque a Padova il 30 luglio 1881 da Francesco Saverio de Lilla, militare di carriera presso il 14 Reggimento di Cavalleria "Alessandria", e da Carmela Di Stasio. I genitori di Severina erano di Balvano, in provincia di Potenza, un paese di circa tremila abitanti, "nella bassa valle del Platano, racchiuso da alture impervie e dossi selvosi". Il servizio militare aveva fatto girare per l'Italia Francesco Saverio. La sola elencazione dei luoghi di nascita dei figli è prova eloquente di tale peregrinare: Padova, Piacenza, Parma, Fossano, Capua, Aversa e Napoli. Vicino al pensionamento Francesco Saverio De Lilla programmò un ritorno alla natia Balvano. L'esperienza acquisita, la sua provata rettitudine e la competenza gli meritarono la fiducia di una famiglia benestante, i Teti, che gli dettero l'amministrazione del suo patrimonio terriero. Severina De Lilla compì i suoi studi nel capoluogo della Lucania, Potenza e nella non lontana Napoli. La vita militare del padre le aveva naturalmente fatto comprendere che "il mondo è un villaggio", sicchè per lei il viaggiare era "vivere" e "servire gli altri". Mentre studiava alla scuola normale già si occupava proficuamente nelle ore di tirocinio dei piccoli dell'annesso giardino d'infanzia. Scoprì allora che insegnare, cioè aiutare gli altri a costruire il sapere, era chiaramente il programma della sua vita, la sua missione. Appena conseguita l'abilitazione cominciò a cimentarsi nei concorsi. A Gallipoli dove fu fondatrice e direttrice didattica della scuola d'infanzia intitolata ad Edmondo De Amicis, dove operò così bene da fare di essa un modello, tanto che il Ministero della Pubblica Istruzione la prescelse per rappresentare l'Italia all'Esposizione internazionale di Bruxelles del 1910. La medaglia d'oro, conquistata sul campo e consegnatale anni dopo a Fiume da Gabriele D'Annunzio, la incoraggiò a proseguire il cammino intrapreso verso mete più alte. Coronò finalmente il suo sogno di educatrice con la fondazione a Bari dell'Istituto "Regina Elena"; un istituto capace di duecento posti per convittrici che, al mattino, accompagnate da istitutrici, si recavano nelle scuole pubbliche per gli studi prescelti, mentre al pomeriggio negli appositi differenziati studi del "Regina Elena", dove facevano i loro compiti seguite da istitutrici ed insegnanti e dalla stessa infaticabile direttrice Severina (De Lilla). Fra le insegnanti di tale studio erano impegnate anche le sorelle Dina, Anna e Adele. L'istituto aveva una rivista mensile di Cultura, "Lia", che costituiva anche un legame fra le ex convittrici. L'impegno culturale prevedeva periodiche conferenze su temi letterari di alto livello e viaggi-studio in Italia e all'Estero. Un'ala dell'istituto era riservata alle giovani albanesi che venivano a Bari per la frequenza dell'università degli studi. Nel periodo estivo l'istituto, lasciato dalle convittrici che tornavano nelle loro famiglie, era utilizzato con le sue strutture didattiche come "scuola professionale" femminile. Severina De Lilla non ambiva riconoscimenti pubblici o titoli. Le Scuole erano per Lei strumenti con i quali comunicava alle giovani il frutto dei suoi studi e delle esperienze acquisite in Italia e all'Estero: tutto per una sempre migliore "promozione della donna" in tutta la sua "dignità".

La religione e i Santi

Molte lettere dell'800 di vescovi o vicari mostrano che durante quel secolo la comunità partecipava poco alla vita religiosa del paese, ma ciò non tanto per mancanza di fede quanto per la depravazione e la perdizione morale in cui vivevano i preti balvanesi. Questi - secondo numerosi racconti e testimonianze - vivevano nello scandalo totale, ubriacandosi nelle osterie, trascurando completamente la chiesa per "rincorrere" le parrochiane, bestemmiando e praticando l'usura. Diciamo pure che non davano certo un buon esempio di vita ascetica! Tuttavia il sentimento religioso era ed è forte in questo popolo e continua ad esprimersi soprattutto attraverso la devozione a Santi deputati a particolari funzioni. I fedeli veneravano S. Lucia, protettrice della vista, S. Antonio Abate, perchè proteggese gli animali domestici, la Madonna per chiedere interventi miracolosi e tanti altri numi protettori. Inoltre vi erano Santi ritenuti più importanti, a cui i balvanesi dedicavano grandi feste religiose, adatte ad esprimere la propria fede, ma anche occasione di incontri e di distrazione (soprattutto in passato). Anticamente numerose erano le feste religiose: la più solenne era la festa del protettore S. Antonio da Padova (13 giugno), poi c'erano la festa di S. Pascasio Martire (14 giugno) e quella di S. Vito (15 giugno), durante la quale venivano benedetti tutti gli animali da pascolo sul sagrato del convento (come avviene ancora oggi). ogni anno i pastori portano le greggi dalle montagne per farle girare per 3 volte intorno alla croce antistante il convento di S.Antonio. La tradizione popolare fà risalire questa festa ad antiche origini precristiane che caratterizzavano la vita e le usanze delle popolazioni di origine Lucana. Vi erano inoltre la festa dedicata a S. Lucia (13 dicembre), quella a S. Gerardo Maiella (30 maggio) e quella a S. Giuseppe (19 marzo). Numerose erano pure le feste in onore della madonna: Madonna del Carmine (16 luglio), Madonna di Gaudino (15 agosto), Madonna di Costantinopoli (primo martedì di settembre) e la Madonna Addolorata (anch'essa in settembre). Tutte le feste avevano caratteristiche di svolgimento molto simili tra loro: iniziavano con una messa solenne a cui partecipava tutto il popolo, in seguito c'era una processione per le vie del paese, per concludere con uno spettacolo pirotecnico. Attualmente le feste religiose sono diminuite, si festeggiano soltanto S. Antonio da Padova, S. Pascasio Martire, S. Vito, la Madonna di Gaudino e la Madonna di Costantinopoli. La festa patronale di S. Antonio da Padova L'origine di questa festa è molto remota, tanto che non si conosce l'anno in cui fu istituita a Balvano, ed è fortemente sentita da tutto il popolo che si prepara spiritualmente con 13 giorni di preghiera (la cosiddetta "tredicina") che precedono la festa. La festa di S. Antonio da Padova ha luogo il 13 giugno e la sua solennità attesta quanto la comunità sia fiera del proprio patrono. La Santa Messa ha inizio in tarda mattinata e, nella chiesa gremita, tutti i devoti rendono onore a S. Antonio spesso donandogli oro o soldi, che vengono apposti sulla statua. Al termine della messa e prima della processione è usanza indire un'asta per potersi aggiudicare una delle quattro staffe della statua del Santo così da poterlo portare in processione. Portare il Santo sulle proprie spalle per le vie del paese è un grande onore per ogni componente della comunità, che è disposto a spendere milioni pur di vincere l'asta. Spesso si scatenano vere e proprie gare tra cittadini, tanto che l'asta arriva a durare più di un'ora e il prezzo sale a cifre impensabili. La processione inizia subito dopo e in testa al corteo ci sono gli adolescenti che portano sulla propria testa le pesanti "cente", delle costruzioni realizzate con centinaia di ceri, portate per esprimere la propria devozione al Santo e costruite per mostrare la propria gratitudine ad una grazia ricevuta. Spesso, per ringrazziare il Santo delle grazie da lui ottenute, alcuni fedeli percorrono tutto il tragitto della processione scalzi e con un lungo cero in mano (in passato si ricordano anche persone che eseguivano il percorso addirittura in ginocchio). Seguono i bambini disposti in due file, che si dispongono ai due margini della strada, poi il parroco, coperto da un parasole tenuto da un devoto. Dietro c'è la statua di S. Antonio coperta da un sontuoso telo sorretto da sei aste, il cosiddetto "seimazze": c'è da notare che l'asta si svolge anche per aggiudicarsi una delle aste del "seimazze". In coda al corteo seguono tutti i fedeli e infine la banda musicale. Dopo aver girato per tutte le vie del paese (dove le vecchiette impedite dalla malattia si affacciano alla finestra urlando preghiere, chiedendo grazie e mandando baci al Santo) il corteo si ferma per assistere allo spettacolo pirotecnico diurno, che decreta la chiusura della processione. Il Santo patrono viene riportato in chiesa e, da questo momento in poi ha inizio la festa "pagana", caratterizzata da grandi abbuffate con i piatti tipici ed abbondanti bevute del buon vino balvanese.

La famiglia Balbia (Balbano)

La famiglia feudale dei Balbano detenne il possesso della valle di Vitalba durante il XII sec e nella prima metà del XIII sec e inoltre ricevette numerose terre e contee in cambio dei servigi prestati. Non si conosce l'origine di questa famiglia, il primo esponente documentato è Ruggiero de Balbano, che nel 1124 sottoscrisse un documento con cui rinunciava al possesso del territorio di Luzzano in cambio di 40 soldi in moneta di Salerno. Ruggiero era fratello di Gilberto de Balbano, documentato invece per la prima volta nel 1137 quando era capo dell'esercito del re Ruggiero d'Altavilla, per combattere l'imperatore tedesco Lotario che si era rinchiuso nel castello di Lagopesole e si era impadronito di molta parte della Puglia. I due rami della famiglia Balbano discesero dai due suddetti fratelli, Gilberto e Ruggiero.

I Briganti

Chi era Josè Borges? Josè Borges era un generale spagnolo, ben addestrato, che partì da Cadice per sostenere "con il cuore e con la spada" la causa legittimista e rimettere sul trono Francesco II. Egli tenne un diario in cui annotò minuziosamente ogni evento ed ogni tappa della sua "campagna" fino a pochi giorni prima della morte. Nel suo diario, sull'occupazione di Balvano si legge testualmente: "la cosa che mi è più grato scrivere si è che l'ordine, il più completo, è regnato nella città durante la notte". Egli abbandonò la banda del brigante Donatello Crocco nonappena si rese conto che non si trattava affatto di un movimento legittimista, ma di vero e proprio brigantaggio che, con il pretesto borbonico, non fece altro che rivendicare angherie secolari e torti subiti. Anzi, dimostrò spesso di non gradire e addirittura condannò gli eccidi e i soprusi che si verificarono durante le occupazioni da parte dei briganti. Fu sempre un soldato leale e fedele ai borboni e come tale morì: in nome della causa legittimista, fucilato dal maggiore Franchini. Come mai i briganti furono ben accolti a Balvano? In realtà il movimento unitario in tutto il meridione (e non solo a Balvano) trovò scarsissimi consensi, fatta eccezione per la piccola e media borghesia. Inoltre la politica del potere centrale non fece nulla per eliminare questa ostilità, anzi la aggravò... soprattutto per la mancata assegnazione delle terre demaniali ex feudali a i contadini. Lo scontento verso il primo governo unitario era quindi grande, anche a Balvano! Questo malcontento si manifestò proprio con l'arrivo dei briganti, che i balvanesi videro come i restauratori della vecchia dinastia borbonica la quale, nonostante fosse molto arretrata e conservatrice, era vista comunque di buon occhio non solo dagli strati popolari ma anche dalle famiglie aristocratiche di Balvano, come ad esempio dalla famiglia Laspro. Questa famiglia, a cui apparteneva il vescovo Valerio Laspro, favorì le manovre dei briganti poichè nutriva apertamente idee legittimiste borboniche. A provare la connivenza della famiglia con la causa borbonica e in particolare la colpevolezza del vescovo Laspro esiste una citazione presso la Gran Corte di Basilicata, in cui si accusa don Valerio Laspro di aver armato e sobillato gli abitanti di Balvano contro il governo. Crocco Carmine Donatello Capobrigante lucano (Rionero in Vulture, Potenza, 1830 - Portoferraio 1905). Detto anche Carmine Donatello, fu uno dei più temuti capi di bande meridionali; datosi alla macchia nel 1859, fu condannato per omicidio, prestò aiuto a Garibaldi per un breve periodo (1860), e infine operò contro le truppe regolari italiane a fianco delle bande borboniche del Borges, come "generale di Francesco II" (1860-1865). Nel 1865 si rifugiò nello Stato Pontificio, ma successivamente fu catturato e imprigionato a Portoferraio.

L'Arcivescovo Valerio Laspro

Valerio Laspro nacque a Balvano, a Palazzo Laspro, nel 1826 da Emanuele e Camilla de Robertis. Appartenente ad una ricca famiglia gentilizia, fu avviato alla carriera ecclesiastica. Educato nel seminario di Salerno, completò gli studi di teologia a Roma. Nel 1859 fu nominato, proprio da Francesco II di Borbone, vescovo di Gallipoli. Nel 1860 si schierò contro il movimento liberale e nell'ottobre dello stesso anno lasciò la diocesi e si recò a Napoli dove svolse attività dirette alla restaurazione dei borboni e al mantenimento del potere temporale da parte del papa. Componente del comitato borbonico a Napoli, organizzò a Balvano un fiorente comitato legittimo. Partecipò al Concilio Vaticano inaugurato l'8 dicembre 1869. Vescovo di Lecce, fu poi nominato arcivescovo di Salerno e resse questa arcidiocesi dal 1877 al 1914, anno in cui morì.

Raffaele Boezio

Raffaele Boezio nacque a Balvano nel 1814 da Francesco Saverio e Maria Carolina Boezio. Completati gli studi presso l'università di Napoli esercitò a Balvano come notaio, professione che si tramandava nella sua famiglia dal 1647 con il notaio Pietro Boezio. Prese parte ai moti del 1848 e all'insurrezione del 1860 ( Balvano fu il primo paese lucano ad insorgere) e fu eletto sindaco nel 1860. Fu una persona di fede liberale sia per idee che per tradizione di famiglia. Il Boezio, prima dell'invasione dei briganti, denunciò la situazione politica del proprio paese inviando diversi rapporti al governo della provinicia, soprattuto per tutelarsi dall'offensiva dei suoi avversari politici i quali - quando si aprì l'inchiesta giudiziaria - non perdettero occasione per accusarlo di concorso e favoreggiamento al brigantaggio. In ogni caso l'arrivo dei briganti a Balvano causò notevoli danni al suo patrimonio: gli fu infatti incendiata la casa colonica e gli furono sottratti tutti gli animali. Dopo l'invasione di Balvano, temendo per la sua incolumità, dato che nelle sue relazioni aveva denunciato coloro che riteneva favorevoli alla restaurazione borbonica (in particolare il vescovo Laspro e la sua famiglia) si congedò dalla carica amministrativa. Fu nuovamente sindaco di Balvano nel 1875 e morì il 7 ottobre 1889.

Il Terremoto

I terremoti a Balvano Terremoti disastrosi segnano la storia di Balvano negli ultimi secoli. Nel 1278 un violento sisma fece crollare buona parte del castello che poi fu ricostruito. Nel 1561 un nuovo terremoto causò un ulteriore crollo di una parte del castello e dell'abitato, vi furono 11 morti. Nel 1694 un nuovo terremoto causò, oltre agli innumerevoli crolli, che interessarono soprattutto la chiesa di S. Maria Assunta, 43 vittime. Nel 1857, quando Balvano contava circa 6000 abitanti, un altro gravissimo sisma sconvolse il paese: moltissime furono le abitazioni distrutte (soprattutto quelle della gente più umile, tirate su con materiali piuttosto scadenti) e le vittime. L'ultimo grande terremoto è avvenuto la sera del 23 novembre 1980. Il terremoto del 23 novembre 1980 Alle ore 19:35 di domenica 23 novembre 1980 ebbe luogo una violentissima scossa del 9° grado della scala Mercalli, durata oltre un minuto, che interessò tutta l'Irpinia. Balvano fu uno dei centri più colpiti, sia per numero di vittime che per i gravissimi danni subiti dal tessuto urbano. Tra le macerie della chiesa di S. Maria Assunta morirono settantasette persone, di cui sessantasei adolescenti. Ancora oggi, a distanza di vent'anni, non ci sono parole adatte a descrivere il dolore e la tragedia che si sono riversate sul popolo balvanese. Ogni famiglia del paese è stata colpita dalla catastrofe... non tanto perchè il terremoto ha distrutto, o comunque danneggiato, tutte le abitazioni ma soprattutto perchè ha ingoiato moltissime vite umane: quelle di una sorella o di un fratello, di un marito o di una moglie, quelle di una nonna o di una fidanzata prossima all'altare, e in particolare quelle dei bambini. La maggior parte delle vittime, come è stato già scritto, è morta nella chiesa di S. Maria Assunta, dove il crollo di tutta la parte anteriore della chiesa e del portale di ingresso (dovuto ad uno sciagurato restauro) ha bloccato la corsa verso la vita delle povere anime che si affrettavano ad uscire per strada. Questo sisma è, purtoppo, diventato un pò il simbolo di Balvano, un grande spartiacque della storia del paese. Quando si racconta di qualcosa, che riguarda Balvano o un balvanese, si tende ormai sempre a chiarire "prima del terremoto" o "dopo il terremoto", quasi a sottolineare il fatto che la catastrofe ha costituito una sorta di anno 0 (e in realtà così è stato!): tutto doveva ricomciare daccapo. Fortunatamente tutti hanno trovato la forza ed il coraggio per ricominciare... ciò nonostante questo tragico evento ha segnato drammaticamente, in profondo, la vita di ogni balvanese, anche di chi allora neanche era nato. VISITA DI GIOVANNI PAOLO II A BALVANO (25 novembre 1980) Sia lodato Gesù Cristo! Miei carissimi fratelli e sorelle, io non sono venuto qui per curiosità, ma come vostro fratello e vostro pastore, vengo per un motivo di solidarietà umana, vengo per un motivo di compassione, carità. Siete circondati da questa compassione da parte di tutti, di tutti i vostri connazionali, di tutti i cristiani. Voglio che la mia sosta nel vostro paese, Balvano, sia un segno di questa solidarietà umana e di questa carità cristiana. Quanto dico per il vostro paese lo dico anche per i paesi vicini, come quello il cui nome non posso ripetere in questo momento: ma ve ne sono certamente ancora tanti altri, i cui nomi non potrei ripetere subito. Sappiate che vengo per tutti. Qualcuno mi ha detto: “Ma questa gente non può più pregare”. La mia risposta è questa: “Voi, carissimi, pregate con la vostra sofferenza”. E spero, sono convinto, che voi pregate più di tanti altri che pregano, perché portate dinanzi al Signore questa vostra grandissima sofferenza, queste vostre vittime, specialmente le vittime rappresentate dai giovani, dai bambini, che sono morti nella chiesa. Vedo come soffre il vostro parroco: l’ho incontrato poco fa. Ecco tutto quanto posso dirvi in questo momento. Sono venuto per dirvi che vi sto vicino. Cristo ha detto all’apostolo Pietro: “Conferma i tuoi fratelli”. Non posso confermarvi con le mie forze umane, con le mie possibilità umane, ma posso confermarvi, nel senso che possiamo insieme trovare la forza di Gesù, nella nostra fede e nella nostra speranza, nella sua carità che è maggiore di tutte le sofferenze e anche della morte, perché anche con la morte questa sua carità ci apre la prospettiva della vita. Ecco, la prospettiva della vita che ci apre Gesù sofferente sulla croce e Gesù risorto è quella che si deve aprire dinanzi a voi tutti che avete sofferto la morte di tanti vostri cari, dei vostri bambini, o forse dei vostri anziani, che siete passati attraverso una croce tanto dolorosa. Non vorrei, carissimi, parlare di più, moltiplicare le parole. Vi porto soprattutto la testimonianza viva della mia presenza, della mia compassione, del mio cuore, e di un ricordo speciale che voglio conservare di questo paese, di tutti i paesi vicini, di tutti i sofferenti, di tutta questa zona, dell’ambiente così provato, della vostra patria provata in queste regioni, di tutti voi come cristiani e come fratelli. Vi offro, al termine di queste parole, la mia benedizione: benedizione del vostro Papa, successore di Pietro, e benedizione del vostro fratello nella sofferenza.

Hanno scritto su Balvano

Ezio Di Carlo (breve Biografia) Nato Balvano il 23/10/1943, laureato in medicina, esercita l'avvità di Medico di Base in Balvano. Già assessore del Comune dal 1975 al 1980, nonchè Sindaco dal 1980 al 1985. In carica nel periodo più terribile per Balvano - Il sisma del 23 novembre 1980. Ha scritto diversi testi di narrativa e di poesie su Balvano. Il lavoro principale è stato " Balvano - Sussulti improvvisi di terra impazzita". Trattasi di un testo nel quale l'autore, nella sua qualità di "duplice protagonista" Medico di base e Sindaco del comune, racconta tutto quanto è successo la sera del sisma e nei giorni immediatamente successivi, con una accurata analisi, anche psicologica, dei vari personaggi. Oltre a scivere il Di Carlo si diletta anche anche in pittura. Vedi in proposito l'allegato a cura di Salvatore Sebaste pubblicato su conoscere la basilicata.

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